Fabbricati strumentali
Ammortamento e disciplina fiscale. Il costo dei fabbricati strumentali deve essere assunto al netto del costo delle aree su cui i fabbricati insistono, quantificato nel maggior valore tra quello esposto in bilancio nell’anno di acquisto e quello corrispondente al 20% e, per i fabbricati industriali, al 30% del costo complessivo stesso. Fonte Eutekne
Ai fini del calcolo delle quote di ammortamento deducibili, il costo dei fabbricati strumentali deve essere assunto al netto del costo delle aree su cui i fabbricati insistono.
L’art. 36 co. 7 del DL 223/2006 dispone che il costo da attribuire alle predette aree, ove non autonomamente acquistate in precedenza, deve essere quantificato in misura pari al maggior valore tra:
- quello esposto in bilancio nell’anno di acquisto;
- quello corrispondente al 20% e, per i fabbricati industriali, al 30% del costo complessivo stesso.
In caso di acquisto del terreno e di successiva costruzione del fabbricato, direttamente o mediante appalto a terzi, il valore attribuibile all’area (non ammortizzabile) è quello di acquisto della stessa, mentre sono ammortizzabili i costi di edificazione, indipendentemente dalle suddette percentuali (circ. Agenzia delle Entrate 19.1.2007 n. 1, § 7.4).
Esercenti arti e professioni
Per gli esercenti arti e professioni, limitatamente ai fabbricati che si considerano ammortizzabili in capo a tali soggetti, posto che non esiste un valore di iscrizione in bilancio, il costo riferibile al terreno è determinato applicando la percentuale del 20% al costo complessivo dell’immobile (sempre che l’area non sia stata acquistata separatamente dal fabbricato).
Soggetti che applicano il principio di derivazione rafforzata
Il criterio forfetario individuato dal legislatore fiscale per lo scorporo del valore dei terreni su cui insistono fabbricati si applica anche ai soggetti che applicano il principio di derivazione rafforzata (cfr. circ. Agenzia delle Entrate 7/2011, § 3.4, in riferimento ai soggetti IAS e risposta n. 7 Agenzia Entrate a Telefisco 2019 31.1.2019).
Nozione di fabbricato industriale
Sono fabbricati industriali – ai sensi dell’ultimo periodo del citato co. 7 – quelli destinati alla produzione o alla trasformazione di beni, tenendo conto della loro effettiva destinazione e prescindendo dalla classificazione catastale o contabile attribuita ai medesimi. Non vi rientrano, quindi, gli immobili destinati ad un’attività commerciale, quali ad esempio negozi, locali destinati al deposito o allo stoccaggio di merci (circ. Agenzia delle Entrate 19.1.2007 n. 1, § 7.2).
Ambito di applicazione oggettivo
Le disposizioni di cui all’art. 36 del DL 223/2006 si applicano agli immobili strumentali che rientrano nella nozione di fabbricato, ai sensi dell’art. 25 del TUIR (circ. Agenzia delle Entrate 1/2007, § 7.2).
In particolare, l’Agenzia delle Entrate (circ. 28/2006, § 26 e 1/2007, § 7.2) ha chiarito che rientrano nell’ambito applicativo della disposizione i fabbricati strumentali per destinazione e per natura ai sensi dell’art. 43 co. 1 e 2 del TUIR. Ne sono esclusi, invece, gli impianti e i macchinari ancorché infissi al suolo, qualora gli stessi non costituiscano fabbricati iscritti o iscrivibili nel catasto edilizio urbano.
Secondo la circ. Agenzia delle Entrate 19.12.2013 n. 36 (§ 6), la disciplina in esame si applica anche nel caso in cui gli impianti fotovoltaici costituiscono beni immobili autonomamente accatastabili. Gli impianti fotovoltaici costituiscono, infatti, fabbricati industriali, in quanto destinati alla produzione del bene energia mediante la conversione delle radiazioni solari, a prescindere dalla classificazione catastale.
Fabbricati “cielo-terra”
Le disposizioni fiscali di scorporo del valore del terreno, “si applicano anche alle singole unità immobiliari presenti all’interno di un fabbricato ossia anche per gli immobili che non possono essere definiti «cielo-terra» (circ. Agenzia delle Entrate 19.1.2007 n. 1, § 7.2 e 16.2.2007 n. 11, § 9.3).
Spese incrementative e rivalutazioni
L’art. 36 co. 8 del DL 223/2006 prevede che il costo complessivo (area più fabbricato) su cui applicare le percentuali del 20 o 30% deve essere assunto al netto dei costi incrementativi capitalizzati nonché delle rivalutazioni effettuate le quali, chiarisce la circ. 11/2007 (§ 9.4), sono, pertanto, riferibili solo al fabbricato e non anche all’area.
Secondo la successiva circ. Agenzia delle Entrate 6.5.2009 n. 22, tuttavia, deve ritenersi oggetto della rivalutazione anche l’area sottostante, se sussistono i relativi presupposti.
Raccordo tra normativa civilistica e fiscale
La valorizzazione in base alle percentuali forfetarie del 20% o del 30% porta ad una separazione tra gli ammortamenti iscritti in bilancio e quelli dedotti ai fini fiscali, se il valore attribuito in bilancio all’area è inferiore a quello ottenuto in base alle percentuali.
Un fabbricato acquistato “a corpo” al prezzo di un milione di euro, ammortizzato con aliquota del 4%, è iscritto in bilancio per:
- 250.000 euro, relativamente al terreno;
- 750.000 euro, relativamente al fabbricato.
Fiscalmente, la quota relativa al terreno è pari al 30% (300.000 euro), in quanto importo superiore a quello di iscrizione in bilancio; il valore ammortizzabile ammonta a 700.000 euro.
Computo della plusvalenza
La cessione dell’immobile dà origine ad una plusvalenza determinata ai fini fiscali in via unitaria, quale differenza tra:
- il corrispettivo di cessione (o il valore normale in caso di assegnazione);
- il costo fiscalmente riconosciuto, pari al valore netto contabile dell’immobile (terreno + fabbricato), incrementato delle quote di ammortamento non dedotte in quanto riferite al terreno (circ. Agenzia delle Entrate 21.6.2011 n. 28, § 9.1).
Riprendendo l’esempio precedente, ipotizzando la cessione nell’anno 26 ad un prezzo di 315.000 euro:
- la plusvalenza contabile è pari a (315.000 – 250.000) = 65.000 euro;
- la plusvalenza fiscale ammonta a 15.000 euro, per effetto del recupero delle quote di ammortamento non dedotte.