Rapporto di Lavoro tra Familiari e Cariche Societarie – Criticità
La legittimità del rapporto di lavoro tra familiari è da sempre una questione controversa in quanto l’INPS continua a considerare tale tipologia di lavoro quale strumento di dissimulazione per ottenere indebite prestazioni assistenziali e, non solo.
Nel nostro ordinamento opera, di regola, la presunzione sancita dall’art. 2094 c.c. di onerosità della prestazione lavorativa, in virtù della quale ogni attività lavorativa si presume resa a titolo oneroso.
Tuttavia, nel caso di lavoro prestato in ambito familiare, l’orientamento ormai consolidato della giurisprudenza propende invece per ritenere la gratuità della prestazione lavorativa, e ciò per il solo fatto che il fruitore sia uno stretto congiunto.
Una prestazione può infatti dirsi gratuita, quando è resa “per motivo di affetto e benevolenza” con lo scopo di migliorare le condizioni di esistenza, materiali e spirituali, del nucleo familiare, ed è resa in presenza di un rapporto tra coniugi o di un vincolo tra parenti e affini fino al sesto grado o di una convivenza tra datore di lavoro e lavoratore.
In tale contesto la convivenza sembrerebbe quindi configurarsi come elemento pressoché risolutivo ai fini della determinazione della gratuità/onerosità del rapporto di lavoro.
Nella prassi accade spesso che l’INPS prima e gli Ispettori del lavoro poi presumendo che tra familiari l’attività lavorativa sia resa in maniera gratuita disconoscano e/o convertano il rapporto di lavoro subordinato instaurato tra gli stessi.
Secondo la visione dell’INPS infatti tra familiari (conviventi e non conviventi) mancherebbe il vincolo di subordinazione e conseguentemente i rapporti di lavoro instaurati in tale ambito dissimulerebbero un’illecita suddivisione di utili per le società, un insussistente costo aziendale e garantirebbero prestazioni pensionistiche non dovute.
Invero, secondo una recentissima sentenza della Corte di Cassazione (n. 20904/2020) sebbene tra persone legate da vincoli di parentela o di affinità operi una presunzione di gratuità della prestazione lavorativa, tale presunzione può essere superata fornendo prova rigorosa degli elementi tipici della subordinazione, tra i quali, soprattutto, l’assoggettamento al potere direttivo-organizzativo altrui e l’onerosità della stessa.
Non risultando facile, in concreto, individuare l’esistenza del vincolo di subordinazione tra familiari, la giurisprudenza ha elaborato una serie di indici c.d. indici di subordinazione che, ove ricorrenti, consentono di provare la natura subordinata di un rapporto di lavoro.
A titolo esemplificativo:
- assoggettamento alle direttive del Datore di Lavoro;
- esistenza ed esercizio di un potere disciplinare di controllo di vigilanza;
- osservanza di un certo orario di lavoro;
- modalità e forma della retribuzione;
- inserimento del lavoratore in una struttura gerarchica e organizzata;
- assenza del rischio di impresa in capo al lavoratore etc.
L’ onere di prova graverà in linea di massima in capo al familiare Datore di Lavoro, il quale, in sede di contenzioso dovrà dimostrare che l’attività lavorativa a lui fornita dal familiare, a seconda dei casi, manca di quegli elementi tipici che caratterizzano il vincolo di subordinazione ovvero li presenta.
Secondo la giurisprudenza infatti l’elemento che più di ogni altro risulta determinante al fine di poter dichiarare la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato è la presenza del vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del Datore di Lavoro.
Nella pratica per verificare la legittimità del rapporto di lavoro tra familiari occorre prendere in considerazione due elementi:
- la forma dell’esercizio dell’attività aziendale (impresa individuale, attività autonoma in forma associata, società);
- la tipologia di legame di parentela tra le parti instauranti il rapporto di lavoro dipendente.
Impresa individuale e lavoro autonomo
Nel caso di esercizio di attività d’impresa e di lavoro autonomo sotto forma di ditta individuale la presunzione di gratuità della prestazione lavorativa resa dal familiare opera in modo pressoché automatico.
L’INPS, infatti, in questi casi è incline a disconoscere l’eventuale rapporto subordinato instaurato, riconducendolo a forme diverse di collaborazione familiare e pertanto assoggettate agli obblighi contributivi delle gestioni autonome, con la sola eccezione delle prestazioni rese in forma occasionale.
La circolare INPS n. 179/1989 prevede infatti espressamente specifiche ipotesi alla presenza delle quali tale presunzione sembra rafforzarsi:
- attività lavorativa prestata nell’ambito di un’impresa individuale, quando questa risulta gestita ed organizzata, strutturalmente ed economicamente, con criteri prevalentemente familiari;
- attività lavorativa prestata in favore del coniuge professionista;
- attività lavorativa prestata in favore di un socio di una società di persone che abbia il controllo della società (socio di maggioranza o amministratore unico).
In tale contesto sono generalmente qualificati come illegittimi i rapporti di lavoro subordinato instaurati con il coniuge, il figlio minorenne, il figlio maggiorenne ma inabile al lavoro, un genitore o un nonno.
Possono invece essere considerati legittimi, ma previo assolvimento dell’incombente onere probatorio, i rapporti di lavoro subordinato instaurati con: figlio maggiorenne, fratelli e sorelle non conviventi, zii non conviventi e cugini non conviventi.
Società di persone
Parimenti nel caso in cui la prestazione lavorativa sia resa nell’ambito di una società di persone, essa generalmente si presume a titolo gratuito : il rapporto subordinato instaurato tra familiari, quindi, non viene riconosciuto eccetto che nel caso di prestazioni rese in forma occasionale.
Nelle altre ipotesi, l’INPS come per l’impresa individuale tende a ricondurre il rapporto subordinato instaurato tra parenti ed affini nell’ambito di società di persone (al pari di quello instaurato nelle ditte individuali) a forme di collaborazione familiare e, pertanto, assoggettate agli obblighi contributivi delle gestioni previdenziali autonome.
Permane in ogni caso la possibilità di provare l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato tra familiari, dimostrando l’effettivo esercizio del potere direttivo e gerarchico del socio che ha il controllo della società verso il familiare dipendente e l’onerosità della prestazione.
Società di capitali
Nel caso in cui la prestazione lavorativa sia resa a favore di una società di capitali non opera quasi mai la presunzione di gratuità della prestazione, nemmeno se esiste un legame di parentela tra il lavoratore stesso e uno dei soci di capitale. Il motivo di tale esclusione deriva dal fatto che in questo caso il rapporto di lavoro intercorre con la società (Datore di Lavoro) e non con i singoli soci.
Fanno eccezione a detta regola i seguenti casi, in cui scatta comunque la verifica della legittimità del rapporto di lavoro ovvero in presenza di :
- società di capitali a socio unico;
- società con due soli soci al 50%;
- società con più soci le cui quote di maggioranza siano del soggetto avente legame di parentela con il lavoratore dipendente;
- società con più amministratori in cui il lavoratore sia parente convivente con uno degli amministratori con pieni poteri nella delega alla gestione del personale dipendente.
Situazione a parte, che verrà trattata nella prossima newsletter, la contemporanea titolarità di cariche sociali.
Assunzione illegittima del parente: le conseguenze
Dal lato pratico, il disconoscimento del rapporto di lavoro subordinato tra familiari può comportare:
- effetti fiscali : in quanto i costi relativi alla prestazione subordinata sono indeducibili dai redditi;
- effetti previdenziali : in quanto l’INPS considera il versamento dei contributi come indebito, poiché eseguiti in carenza di presupposto assicurativo, e pertanto annullabili senza limiti di tempo e rimborsabili entro il termine prescrizionale di 10 anni, salvo il caso di accertato dolo del contribuente, in cui la contribuzione non verrà restituita.
Nel Caso di Rapporto di Lavoro tra Familiari Si Consiglia Di:
- individuare la miglior tipologia contrattuale in relazione alla forma di esercizio dell’attività aziendale;
- verificare la ricorrenza e la permanenza degli indici di subordinazione;
- documentare anche storicamente la permanenza degli indici di subordinazione;
- proporre tempestivamente opposizione ad eventuali provvedimenti di disconoscimento da parte dell’INPS e/o di altri Enti.
(*) “E’ prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore.”