Rapporto di Lavoro tra Familiari e Cariche Societarie – Legittimità del Cumulo
Tema strettamente correlato a quello affrontato nell’articolo dello scorso 15.09.2022 – qui consultabile – è quello della compatibilità in capo allo stesso soggetto tra rapporto di lavoro subordinato e la titolarità di cariche sociali e/o il ruolo di socio, casistica che ricorredi frequentenell’ambito delle imprese familiari ossia di tutte quelle imprese di proprietà o gestite da uno o più membri della stessa famiglia.
Già a partire dagli anni ‘90 la giurisprudenza aveva stabilito quale criterio generale, che l’incarico per lo svolgimento di un’attività gestoria, come quella dell’amministratore, all’interno di una società di capitali, non escluda astrattamente la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato, facendo salve però alcune eccezioni.
Recentissimamente poi con la sentenza n. 16674/2020 la Corte di Cassazione ha affermato che, le qualità di amministratore e di lavoratore subordinato di una stessa società di capitali ben possono essere cumulate, purché si accerti l’attribuzione di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale e che colui che intende far valere il rapporto di lavoro subordinato fornisca la prova del vincolo di subordinazione, e pertanto dell’assoggettamento, nonostante la carica sociale rivestita, al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell’organo di amministrazione della società.
Dal punto di vista normativo ruolo fondamentale è rappresentato dalla circolare n. 179 dell’8 agosto 1989 in cui l’INPS esclude, in termini generali, la valida instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato in capo ad un soggetto che all’interno della medesima impresa ricopra altresì, una delle seguenti cariche:
- amministratore unico;
- amministratore delegato;
- presidente del consiglio di amministrazione;
- mero componente dell’organo collegiale, ma detentore anche della maggioranza del capitale sociale della medesima impresa amministrata.
Recentemente, però, con il messaggio n. 3359 del 17 settembre 2019 l’Istituto ha parzialmente rivisto alcune delle posizioni assunte in detta circolare recependo i principi consolidatisi a livello di giurisprudenziale.
Nel messaggio del 2019 infatti l’Istituto nel tentativo di uniformare il comportamento dei soggetti coinvolti, si sofferma sulle casistiche concrete illustrando caso per caso i limiti alla compatibilità tra la titolarità di cariche sociali e l’instaurazione, tra la società e la persona fisica che l’amministra, di un autonomo e diverso rapporto di lavoro subordinato.
Nel dettaglio quanto al ruolo di:
Presidente del Consiglio di Amministrazione
L’INPS afferma che detta carica non è di per sé incompatibile con lo status di lavoratore subordinato, nemmeno in ipotesi di conferimento allo stesso del potere di rappresentanza legale della società, atteso che tale delega non gli estende automaticamente i diversi poteri deliberativi. Ciò nondimeno, ai fini dell’ammissibilità del cumulo l’Istituto richiede la dimostrazione dell’effettiva sottoposizione del Presidente medesimo alle direttive, decisioni ed al controllo dell’organo collegiale.
Amministratore unico
Detta carica risulta assolutamente incompatibile con un rapporto di lavoro subordinato e ciò in quanto soggetto “detentore del potere di esprimere da solo la volontà propria dell’ente sociale, come anche i poteri di controllo, di comando e di disciplina” e quindi essendo in concreto impossibile operare una distinzione tra la posizione del lavoratore quale organo direttivo della società e quella del lavoratore come soggetto esecutore delle prestazioni lavorative affidategli.
Amministratore delegato
In questo caso la compatibilità o meno della carica con quella di lavoratore subordinato, va valutata prendendo in considerazione la portata della delega conferita da parte del Consiglio di Amministrazione. Più precisamente, nel caso in cui all’Amministratore sia conferita una delega generale, con attribuzione della facoltà di agire senza il consenso del Consiglio di Amministrazione, si deve ritenere esclusa la possibile instaurazione di un valido rapporto di lavoro subordinato con la società.
Al contrario, qualora all’Amministratore sia conferita da parte del Consiglio di Amministrazione una delega parziale, con l’attribuzione del solo potere di rappresentanza, ovvero di specifiche e limitate deleghe, è in linea generale ammissibile l’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato con la stessa società.
A tali fini, si dovrà tenere anche conto:
- dei rapporti intercorrenti fra l’organo delegato e il Consiglio di Amministrazione;
- della pluralità e del numero degli Amministratori Delegati;
- della facoltà di agire congiuntamente o disgiuntamente;
- della sussistenza degli elementi caratterizzanti il vincolo di subordinazione.
Socio unico
Con riferimento al socio unico di società di capitali, al pari di quanto previsto per l’Amministratore Unico, è da escludersi la configurabilità di un legittimo rapporto di lavoro subordinato, questo perché la concentrazione della proprietà delle azioni nelle mani di una sola persona esclude a priori l’effettiva soggezione alle direttive di un organo societario quale soggetto terzo. Lo stesso vale rispetto al socio di maggioranza e al socio amministratore che abbia assunto di fatto l’effettiva ed esclusiva titolarità dei poteri di gestione della società.
Casi particolari
- Entrambi i soci lavoratori e amministratori
Nel caso in cui una società sia composta da soli due soci, entrambi amministratori e lavoratori all’interno della stessa realtà, si ravvisa la possibile compatibilità tra le due qualifiche (amministratore e lavoratore subordinato), quandol’attività di lavoro di ciascuno è gerarchicamente subordinata alle direttive e al controllo dell’organo collegiale formato dai due medesimi soci. A tal proposito la Corte di Cassazione ha ritenuto che, nelle società di persone sia configurabile un rapporto di lavoro subordinato tra la società e uno dei soci purché ricorrano due condizioni:
- la prestazione non integri un conferimento previsto dal contratto sociale;
- il socio presti l’attività lavorativa sotto il controllo gerarchico di un altro socio munito di poteri di supremazia.
- Presidente di Cooperativa
La carica di Presidente di Cooperativa può essere ritenuta compatibile con la qualifica di lavoratore subordinato, ogni qual volta ricorrano congiuntamente le seguenti condizioni:
- il potere deliberativo, diretto a formare la volontà dell’ente, sia affidato ad un organo diverso, come ad esempio al Consiglio di Amministrazione o all’Amministratore Unico;
- il Presidente svolga in concreto, nella veste di lavoratore dipendente, ai sensi dell’art. 1, comma 3, Legge 142/2001, mansioni estranee al rapporto organico con la cooperativa, contraddistinte dai caratteri tipici della subordinazione, anche ove sia inquadrato con qualifica dirigenziale.
Prova della legittimità del cumulo
Eccezion fatta per i casi sopra esaminati, l’INPS ritiene che la coesistenza in capo allo stesso soggetto di un rapporto di lavoro subordinato e la titolarità di cariche societarie/proprietà di quote non è di per sé sufficiente ad escludere la legittimità del rapporto di lavoro.
Pertanto, il soggetto che voglia/debba sostenere in giudizio la legittimità di detto cumulo dovrà provare:
- l’attribuzione del potere deliberativo, diretto a formare la volontà dell’ente, all’organo collegiale di amministrazione della società nel suo complesso e/o ad un altro organo sociale terzo espressione della volontà dell’ente;
- la sussistenza del vincolo della subordinazione (anche, eventualmente, nella forma attenuata del lavoro dirigenziale) e cioè dell’assoggettamento del lavoratore interessato, nonostante la carica sociale rivestita, al potere direttivo, organizzativo, disciplinare, di vigilanza e di controllo dell’organo di amministrazione della società;
- l’attribuzione e lo svolgimento di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale, che non siano ricomprese nei poteri di gestione derivanti dalla stessa o dalle deleghe conferite;
- la ricorrenza di almeno alcuni dei c.d. indici di subordinazione (periodicità e predeterminazione della retribuzione, osservanza di un orario contrattuale di lavoro, inquadramento all’interno di una specifica organizzazione aziendale, distinzione tra importi corrisposti a titolo di retribuzione da quelli derivanti da proventi societari etc..).
Disconoscimento del cumulo: Conseguenze
Le conseguenze che potrebbero derivare dal disconoscimento del rapporto di lavoro subordinato da parte dell’organo ispettivo sono molteplici:
- annullamento della posizione contributiva del soggetto, con conseguente restituzione dei contributi versati più gli interessi maturati al netto degli eventuali assegni familiari percepiti;
- annullamento degli eventuali trattamenti pensionistici in corso, con conseguente recupero delle prestazioni già erogate;
- riqualificazione del rapporto, con conseguente recupero della relativa contribuzione (gestione commercianti, gestione separata ecc.);
- impossibilità per la società di dedurre gli stipendi corrisposti al dipendente
In caso di Cumulo tra Rapporto di Lavoro Subordinato e Cariche Sociali Si Consiglia Di:
– redigere con molta attenzione il contratto di lavoro subordinato evidenziando nel testo i c.d. indici di subordinazione;
– verificare la compatibilità delle deleghe conferite rispetto alle mansioni affidate da contratto al lavoratore;
– monitorare la sussistenza e permanenza degli indici di subordinazione;
– proporre tempestivamente opposizione ad eventuali provvedimenti di disconoscimento.