Pace fiscale “fai da te” ad alto rischio per gli annullamenti in autotutela

Pace fiscale “fai da te” ad alto rischio per gli annullamenti in autotutela

La tregua fiscale prevista dal Governo Meloni, con più di dieci sanatorie, rischia di complicarsi. In alcuni casi, la pace fiscale “fai da te” è ad alto rischio, sia perché i calcoli da fare sono difficili, sia perché gli uffici sono in grande difficoltà, visto che il personale disponibile è ridotto ai minimi termini, quasi la metà del personale che c’era dieci anni fa, e deve fare fronte al lavoro ordinario e a quello straordinario delle varie sanatorie della cosiddetta “tregua fiscale”. Uno dei problemi più rilevanti riguarda la chiusura delle liti, con la determinazione del valore effettivo della lite e degli importi dovuti. Al riguardo, si ricorda che dal 15 marzo 2023 le domande per la definizione delle liti si dovranno presentare esclusivamente in via telematica.

La chiusura liti pendenti –La legge di bilancio per il 2023, all’articolo 1 e unico della legge 29 dicembre 2022, n. 197, ai commi da 186 a 205, prevede la definizione agevolata delle liti pendenti. E’ stabilito (comma 186), che le liti attribuite alla giurisdizione tributaria in cui è parte l’agenzia delle Entrate, o l’agenzia delle dogane e dei monopoli, pendenti in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello pendente presso la Corte di cassazione, anche a seguito di rinvio, al primo gennaio 2023, possono essere definite, a domanda del soggetto che ha proposto l’atto introduttivo del giudizio o di chi vi è subentrato o ne ha la legittimazione, con il pagamento di un importo pari al valore della controversia, pari cioè all’importo delle sole imposte. Di norma, con l’esclusione delle sanzioni e degli interessi, il costo della lite si riduce di oltre la metà. La chiusura delle liti è irrilevante ai fini Inps.

Percentuali variabili –In caso di ricorso pendente iscritto in primo grado, la lite può essere definita, pagando il 90% del valore della controversia.

Il pagamento del 90% è infatti dovuto nei casi di ricorso pendente, per il quale il contribuente, al primo gennaio 2023, si sia già costituito in giudizio attraverso il deposito o la trasmissione del ricorso in primo grado, ma, alla stessa data, i giudici di primo grado non abbiano ancora depositato una pronuncia giurisdizionale non cautelare. La stessa percentuale del 90% si applica anche nei casi in cui, al primo gennaio 2023, pendano i termini per la riassunzione a seguito di sentenza di Cassazione con rinvio, o penda il giudizio di rinvio a seguito di avvenuta riassunzione.

A norma del comma 188, in caso di soccombenza della competente agenzia fiscale nell’ultima o unica pronuncia giurisdizionale non cautelare depositata al primo gennaio 2023, le controversie possono essere definite con il pagamento:

  • a) del 40% del valore della controversia in caso di soccombenza nella pronuncia di primo grado;
  • b) del 15% del valore della controversia in caso di soccombenza nella pronuncia di secondo grado.

Il comma 189 dispone che, in caso di accoglimento parziale del ricorso o comunque di soccombenza ripartita tra il contribuente e la competente agenzia fiscale, l’importo del tributo, al netto degli interessi e delle sanzioni, è dovuto per intero relativamente alla parte di atto confermata dalla pronuncia giurisdizionale e in misura ridotta, secondo le disposizioni di cui al comma 188, per la parte di atto annullata.

Quando si paga il 5% – Le liti pendenti alla Corte di cassazione, per le quali la competente agenzia fiscale risulti soccombente in tutti i precedenti gradi di giudizio, possono essere definite con il pagamento di un importo pari al 5% del valore della controversia.

Sanzioni con il forfait del 15% o del 40% – Le liti relative esclusivamente alle sanzioni non collegate al tributo possono essere definite con il pagamento del 15% del valore della lite in caso di soccombenza della competente agenzia fiscale nell’ultima o unica pronuncia giurisdizionale non cautelare, sul merito o sull’ammissibilità dell’atto introduttivo del giudizio, depositata al primo gennaio 2023, e con il pagamento del 40% negli altri casi.

Il valore della lite – Per l’Agenzia delle Entrate, circolare 2/E del 27 gennaio 2023, “ai fini della determinazione dell’effettivo valore della controversia, vanno comunque esclusi gli importi di cui all’atto impugnato che eventualmente non formano oggetto della materia del contendere, come avviene, in particolare, in caso di contestazione parziale dell’atto impugnato, di formazione di un giudicato interno, di conciliazione o mediazione perfezionate che non abbiano definito per intero la lite ovvero in caso di parziale annullamento dell’atto a seguito di esercizio del potere di autotutela da parte dell’ufficio, formalizzato tramite l’emissione di apposito provvedimento”.

Annullamenti fatti dall’ufficio – Sono diversi i casi in cui gli uffici, a seguito di verbali di contraddittorio, in sede di accertamento con adesione, reclamo mediazione o conciliazione, hanno riconosciute valide le giustificazioni del contribuente, riducendo la pretesa impositiva indicata nell’originario atto di accertamento. Si pensi agli accertamenti basati su presunzioni inconsistenti, all’Irap dei professionisti e delle piccole imprese, al riconoscimento della documentazione esibita nel corso del giudizio, ai prelevamenti dei professionisti che non sono compensi, agli accertamenti sugli studi di settore o su plusvalenze inesistenti. In questi casi, gli uffici hanno ridotto notevolmente la pretesa impositiva, redigendo apposite proposte di mediazione o conciliazione, o processi verbali, che il contribuente ha però ritenuto insufficienti, proseguendo il contenzioso. In base alle indicazioni delle Entrate, la mancanza di un atto “formalizzato tramite l’emissione di apposito provvedimento”, fa “rivivere” la pretesa originaria indicata nell’atto di accertamento, cancellando gli annullamenti, che erano stati già riconosciuti dall’ufficio.

Corsa contro il tempo per chiedere l’apposito atto –Per agevolare la chiusura delle liti, è importante la richiesta del contribuente affinché l’ufficio, confermando gli annullamenti fatti, formalizzi il tutto “tramite l’emissione di apposito provvedimento ”in autotutela. Può essere il caso di un contribuente che, a seguito di un ricorso contro un accertamento basato sugli studi di settore, ha ricevuto una proposta di mediazione dell’ufficio che ha ridotto la pretesa impositiva, da circa 11mila euro per le imposte, a 5mila euro. Per evitare gli esiti imprevedibili del contenzioso, visto che la lite è pendente in secondo grado, con una sorprendente sentenza di primo grado favorevole per l’ufficio, con i giudici che non si sono nemmeno accorti della proposta fatta dall’ufficio, è bene che il contribuente chieda all’ufficio di emettere l’apposito provvedimento, per consentirgli di avvalersi della definizione agevolata, pagando le somme dovute sulla base della nuova pretesa impositiva e mettere finalmente la parola “fine”.

Indispensabile la collaborazione Fisco-cittadini – La speranza è che gli uffici, nonostante il poco personale disponibile, siano pronti ad aiutare i contribuenti, che intendono chiudere il contenzioso. In questo senso, sono sempre attuali i principi espressi dalla Corte di Cassazione, che nella sentenza 2575 del 29 marzo 1990 afferma che “in uno Stato moderno, il vero interesse del Fisco non è affatto quello di costringere il contribuente a soddisfare pretese sostanzialmente ingiuste profittando di situazioni contingenti favorevoli al Fisco sul piano amministrativo o processuale, bensì quello di curare che il prelievo fiscale sia sempre in armonia con l’effettiva capacità contributiva del soggetto passivo, sì da non compromettere per il futuro la fonte del gettito e, al tempo stesso, da stimolare il contribuente alla lealtà fiscale”. In proposito, si deve anche considerare l’orientamento univoco e consolidato dei giudici di legittimità in materia di sanatorie fiscali, che invitano gli uffici a privilegiare “un’interpretazione favorabilis della normativa premiale tesa a ridurre al minimo le situazioni “astrattamente” preclusive della possibilità di usufruire della procedura di definizione prevista dalla legge” (Cassazione civile, sezioni unite, sentenza 16412 del 25 luglio 2007).
Insomma, il cittadino che vuole smettere di litigare con il Fisco, deve essere messo nelle condizioni di poterlo fare, beneficiando della “procedura di definizione prevista dalla legge”. L’ufficio che resta in silenzio alle richieste dei cittadini non rispetta la denominazione di “ufficio delle Entrate”; resta invece un “ufficio del contenzioso” che ama coltivare le liti.

(*) Fonte Fiscal Focus

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