Lavoro Intermittente o a chiamata

Lavoro Intermittente o a chiamata

Il lavoro intermittente (c.d. “lavoro a chiamata” o “job on call”) è una particolare tipologia di rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato o indeterminato mediante la quale il lavoratore, rientrante in determinate fasce d’età, si pone a disposizione del datore di lavoro (DLgs. 10.9.2003 n. 276, artt. 13-18 del DLgs. 15.6.2015 n. 81).


Peculiarità di tale rapporto è il carattere discontinuo delle prestazioni basato sull’effettiva necessità del datore di lavoro, il quale, nei limiti indicati dalla legge e nel rispetto del preavviso di chiamata concordato, chiama il lavoratore a effettuare le prestazioni lavorative.
È possibile stipulare un contratto di lavoro intermittente sia con espressa pattuizione dell’obbligo di disponibilità da parte del lavoratore, sia senza la previsione dell’obbligo di disponibilità.

Svolgimento della prestazione

Il contratto di lavoro intermittente può essere sia a tempo indeterminato sia a tempo determinato, nonché con o senza previsione dell’obbligo di disponibilità, dunque dell’obbligo di risposta alla chiamata del datore di lavoro.

Se stipulato a tempo determinato, al contratto di lavoro intermittente non si applica la disciplina prevista per il lavoro a termine (interpello Min. Lavoro 12.10.2009 n. 72, circ. Min. Lavoro 3.2.2005 n. 4). Quindi, in caso di riassunzione dello stesso lavoratore con contratto di lavoro intermittente, non si applica il periodo di c.d. “stop and go” di cui all’art. 21 co. 2 del DLgs. 81/2015 (circ. Min. Lavoro 29.9.2010 n. 34).
Il datore di lavoro è autorizzato a richiedere al lavoratore lo svolgimento della prestazione in modo discontinuo o intermittente secondo le proprie esigenze individuate dai Contratti Collettivi (che possono prevedere la possibilità di svolgere le prestazioni in periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno) o, in difetto, con decreto del Ministro del Lavoro (art. 13 co. 1 del DLgs. 81/2015).


Il lavoratore, in assenza dell’obbligo di risposta, non è tenuto a rispondere alla chiamata o ad accettare la richiesta del datore di lavoro e, nei periodi in cui la prestazione lavorativa non viene utilizzata, non matura alcun trattamento economico e normativo. In tali periodi, nel caso in cui invece abbia garantito la sua disponibilità, il lavoratore ha diritto alla relativa indennità (art. 13 co. 4 del DLgs. 81/2015).
Per i periodi lavorati, al lavoratore intermittente non deve essere corrisposto, a parità di mansioni svolte, un trattamento economico e normativo complessivamente meno favorevole rispetto al lavoratore di pari livello e, se la durata dell’attività svolta è inferiore a quella contrattualmente prevista per la generalità dei lavoratori della stessa qualifica dipendenti dell’azienda, tale trattamento è riproporzionato in ragione della prestazione lavorativa effettivamente eseguita (art. 17 del DLgs. 81/2015).

Computo

I lavoratori intermittenti sono computati nell’organico dell’impresa in proporzione all’orario di lavoro effettivamente svolto nell’arco di ciascun semestre ai fini dell’applicazione di qualsiasi disciplina, legale o contrattuale, per la quale sia rilevante tale computo (art. 18 del DLgs. 81/2015).

Adempimenti del datore di lavoro

Il datore di lavoro (o altro soggetto abilitato) è tenuto a:

  • comunicare l’assunzione del lavoratore ai Servizi per l’impiego con le stesse modalità previste per la generalità dei lavoratori, specificando se esiste o meno l’obbligo di rispondere alla chiamata e le modalità dell’eventuale disponibilità concordata (circ. Min. Lavoro 3.2.2005 n. 4; v. Comunicazione di assunzione); 
  • prima dell’inizio della prestazione lavorativa o di un ciclo integrato di prestazioni di durata non superiore a 30 giorni, comunicarne la durata all’ITL competente per territorio (art. 15 co. 3 del DLgs. 81/2015). Tale comunicazione:
    • non sostituisce la comunicazione preventiva di assunzione, ma costituisce un ulteriore adempimento (circ. Min. Lavoro 27.6.2013 n. 27);
    • può essere effettuata anche nello stesso giorno di inizio della prestazione purché antecedentemente all’effettivo impiego (circ. Min. Lavoro 18.7.2012 n. 18);
    • è effettuata mediante invio del modello UNI-Intermittente (contenente i dati identificativi del datore di lavoro e del lavoratore nonché la data di inizio e fine della prestazione lavorativa a cui la chiamata si riferisce) con una delle modalità previste (on line, email all’indirizzo PEC intermittenti@pec.lavoro.gov.it, abilitata a ricevere comunicazioni anche da indirizzi di posta elettronica non certificata, l’App Lavoro Intermittente, SMS, in caso di prestazione da rendersi non oltre le 12 ore dalla comunicazione. L’annullamento deve essere inviato prima dell’inizio della prestazione ovvero, nel caso in cui il lavoratore non si presenti, entro le 48 ore successive al giorno in cui la prestazione doveva essere resa, salvo il caso della comunicazione inviata tramite sms che dovrà essere sempre effettuata nel medesimo giorno in cui si effettua la comunicazione);
  • registrare il lavoratore sul LUL con le stesse modalità previste per gli altri lavoratori dipendenti.

Dal 15.11.2020 l’unico strumento di autenticazione per accedere ai servizi digitali del Ministero del Lavoro è lo SPID (circ. Min. Lavoro 1.9.2020 n. 2721).
La comunicazione preventiva per i lavoratori intermittenti nel settore dello spettacolo deve essere effettuata secondo le modalità di trasmissione previste per la generalità dei datori di lavoro attraverso il modello UNI-Intermittente (lettera circ. Min. Lavoro 12.2.2020 n. 1311).

Sanzioni

Dal 13.8.2022, in caso di mancato, ritardato, incompleto o inesatto adempimento degli obblighi di comunicazione delle condizioni applicabili al contratto di lavoro di cui all’art. 1 del DLgs. 26.5.97 n. 152 (come sostituito dal DLgs. 27.6.2022 n. 104), trovano applicazione le sanzioni amministrative nella misura prevista dall’art. 19 co. 2 del DLgs. 276/2003 (novellato dal DLgs. 104/2022, v. Condizioni di lavoro trasparenti) come indicato nella seguente tabella.

Ove si verifichino violazioni dei predetti obblighi informativi, trova inoltre applicazione la procedura di diffida disciplinata dall’art. 13 del DLgs. 23.4.2004 n. 124 (circ. INL 4/2022).
La legge non prevede una specifica sanzione penale o amministrativa per le violazioni relative agli elementi del contratto individuale di lavoro intermittente di cui all’art. 15 co. 1 del DLgs. 81/2015. In tali casi gli Ispettori del lavoro possono procedere adottando un apposito provvedimento di disposizione, ai sensi dell’art. 14 del DLgs. 124/2004 (circ. INL 30.9.2020 n. 5, nota INL 15.12.2020 n. 4539).
Qualora venga violato l’obbligo di comunicazione circa la durata del rapporto di lavoro intermittente da trasmettersi alla direzione territoriale del lavoro territorialmente competente, cui è tenuto il datore di lavoro prima dell’inizio della prestazione lavorativa o di un ciclo integrato di prestazioni di durata non superiore a 30 giorni (art. 15 co. 3 del DLgs. 81/2015), trova applicazione la sanzione amministrativa pecuniaria da 400 a 2.400 euro. In questo caso, non è applicabile la procedura di diffida ai sensi dell’art. 13 del DLgs. 124/2004.

Informazione alle RSA o RSU

Fatte salve le previsioni più favorevoli dei Contratti Collettivi, il datore di lavoro è tenuto a informare con cadenza annuale le rappresentanze sindacali aziendali (RSA) o le rappresentanze sindacali unitarie (RSU) sull’andamento del ricorso al contratto di lavoro intermittente (art. 15 co. 2 del DLgs. 81/2015).

Forma e contenuto del contratto

Nella stesura del contratto occorre rispettare i requisiti di forma e di contenuto prescritti dall’art. 15 co. 1 del DLgs. 81/2015, come modificato dall’art. 5 co. 2 lett. a) del DLgs. 104/2022. Il contratto in esame deve contenere, oltre agli elementi, necessari o eventuali (indicati in tabella), le informazioni sul rapporto di lavoro di cui all’art. 1 co. 1 del DLgs. 152/97 (modificato dal DLgs. 104/2022).

Divieti

È vietato il ricorso al lavoro intermittente (art. 14 del DLgs. 81/2015):

  • per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;
  • presso unità produttive nelle quali si sia proceduto, nei 6 mesi precedenti, a licenziamenti collettivi o siano operanti una sospensione del lavoro o una riduzione dell’orario in regime di Cassa Integrazione guadagni, nel caso in cui il contratto intermittente si riferisca alle stesse mansioni svolte dai lavoratori licenziati, sospesi o con orario ridotto;
  • ai datori di lavoro che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi secondo la normativa di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori. Qualora però il Documento di valutazione dei rischi (DVR) sia privo di un dato formale quale la specifica sezione dedicata ai lavoratori intermittenti, lo stesso non potrà ritenersi incompleto nella misura in cui i rischi connessi alle specifiche mansioni risultino individuati, valutati e classificati, così come le relative misure di prevenzione e protezione, e l’esposizione a fattori potenzialmente dannosi non risulti essere correlata alla peculiare tipologia del lavoro a chiamata (nota INL 21.12.2020 n. 1148). Dall’assenza della valutazione dei rischi secondo l’Ispettorato del Lavoro consegue la trasformazione del rapporto di lavoro intermittente in un ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato (circ. INL 15.3.2018 n. H; in senso opposto v. Cass. 5.1.2024 n. 378).

Per il Ministero del Lavoro i Contratti Collettivi possono porre dei limiti all’utilizzo del lavoro intermittente ponendo dei divieti; in tali casi rimane comunque legittimo il ricorso al lavoro intermittente nel caso in cui sussistano i requisiti soggettivi. Qualora manchino tali requisiti, il rapporto di lavoro intermittente viene convertito in un rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato (interpello Min. Lavoro 21.3.2016 n. 10, circ. Min. Lavoro 1.8.2012 n. 20 e nota Min. Lavoro 4.10.2016 n. 6).
La giurisprudenza di legittimità si è tuttavia espressa in senso contrario. Per Cass. 13.11.2019 n. 29423, infatti, la norma di legge non riconosce esplicitamente alle parti sociali alcun potere di interdizione in ordine alla possibilità di utilizzo del lavoro intermittente. A tale orientamento si è uniformato l’Ispettorato nazionale del Lavoro con la circ. 8.2.2021 n. 1, chiarendo che nell’ambito dell’attività di vigilanza non si terrà conto di eventuali clausole sociali che si limitino a vietare il ricorso al lavoro intermittente.

Limiti

Il ricorso al lavoro intermittente è soggetto ai limiti oggettivi, soggettivi e temporali di seguito elencati (art. 13 del DLgs. 81/2015).

Limite temporale

Il contratto di lavoro intermittente è ammesso, per ciascun lavoratore con il medesimo datore di lavoro, per un periodo complessivamente non superiore a 400 giornate di effettivo lavoro nell’arco di 3 anni solari. In caso di superamento, il rapporto si trasforma in un rapporto a tempo pieno e indeterminato.
Tale limite non si applica nei settori del turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo. I datori di lavoro interessati dall’esclusione sono dunque:

  • quelli iscritti alla Camera di Commercio con il codice attività ATECO 2007 corrispondente ai citati settori produttivi;
  • quelli che, pur non rientrando nel Codice ATECO, svolgono attività proprie del settore turismo, pubblici esercizi e spettacolo applicando i relativi Contratti Collettivi (interpello Min. Lavoro 7.11.2014 n. 26).

Nel rispetto del predetto limite, la prestazione lavorativa può essere resa anche per periodi di lunga durata ma, per poter considerare tali periodi effettivamente “discontinui o intermittenti”, occorre che siano intervallati da una o più interruzioni, in modo tale che non vi sia esatta coincidenza tra la “durata del contratto” e la “durata della prestazione” (circ. Min. Lavoro 20/2012).

Cumulo di altri impieghi

Il prestatore di lavoro può cumulare altri impieghi (art. 8 del DLgs. 104/2022; v. Cumulo di impieghi).

Transizione a forme di lavoro più stabili

Al lavoro intermittente è applicabile la disciplina relativa alla transizione a forme di lavoro più prevedibili, sicure e stabili, a condizione che il lavoratore abbia maturato un’anzianità di lavoro di almeno 6 mesi presso il medesimo datore e che abbia ultimato l’eventuale periodo di prova (art. 10 del DLgs. 104/2022.

Fonte: Eutekne

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