Rimanenze di Magazzino: normativa, criteri di valutazione e applicazioni pratiche
Le rimanenze di magazzino, regolate dal principio contabile OIC 13 e dall’art. 2426 del Codice Civile, rappresentano una componente cruciale per il bilancio d’esercizio, includendo beni destinati alla vendita o impiegati nella produzione aziendale.
La loro corretta valutazione ha un impatto rilevante sulla rappresentazione economica e patrimoniale della società, oltre che sugli adempimenti fiscali.
Definizione e Categorie di Rimanenze
Tale definizione è contenuta nel principio contabile OIC 13 che individua le principali tipologie che confluiscono nelle corrispondenti voci di bilancio:
- materie prime, ivi compresi i beni acquistati soggetti ad ulteriori processi di trasformazione (cd. semilavorati di acquisto);
- materie sussidiarie e di consumo, costituite da materiali usati indirettamente nella produzione;
- prodotti in corso di lavorazione, materiali, parti e assiemi in fase di avanzamento;
- semilavorati, parti finite di produzione interna destinate ad essere utilizzate in un successivo processo produttivo;
- merci, beni acquistati per la rivendita senza subire rilevanti trasformazioni;
- prodotti finiti, prodotti di propria fabbricazione.
Una delle problematiche più analizzate nella predisposizione del bilancio d’esercizio, e quindi anche per il bilancio 2024 è la valutazione delle rimanenze.
I criteri di valutazione ed il minore valore: art. 2426 c.c. ed OIC 13.
L’art. 2426 c.c. – Criteri di valutazione, prevede che “le rimanenze (in generale) sono iscritte al costo di acquisto o di produzione, tenendo conto di quanto indicato al n. 1, ovvero dell’eventuale minore valore di realizzo desumibile dall’andamento del mercato”.
L’OIC 13 precisa altresì che il costo di acquisto comprende:
- i costi accessori quali, ad esempio, i costi di trasporto, dogana, altri tributi direttamente imputabili a quel materiale;
- i resi, gli sconti commerciali, gli abbuoni e premi, che si portano in diminuzione dei costi;
- nel caso di pagamento differito e a condizioni diverse rispetto a quelle normalmente praticate sul mercato, i beni sono iscritti in bilancio al valore corrispondente al debito determinato ai sensi dell’OIC 19 “Debiti” più gli oneri accessori.
Costo di produzione e valore di realizzo: aspetti definitori e determinazione del valore
Il costo di produzione comprende i costi diretti ed i costi indiretti , cd. costi generali di produzione, sostenuti nel corso della produzione e necessari per portare le rimanenze di magazzino nelle condizioni e nel luogo attuali per la quota ragionevolmente imputabile al prodotto relativa al periodo di fabbricazione e fino al momento dal quale il bene può essere utilizzato.
Con gli stessi criteri possono essere aggiunti (nei casi e con le condizioni previsti nel paragrafo 39 del principio contabile OIC 13) gli oneri relativi al finanziamento della fabbricazione, interna o presso terzi e si escludono i costi di distribuzione ai sensi dell’articolo 2426, comma 1, numero 9 del codice civile.
Gli oneri tipicamente identificabili come componenti del costo di produzione possono riassumersi, a titolo esemplificativo ma non esaustivo, come segue:
- costi diretti: costo materiali utilizzati, ivi inclusi i trasporti su acquisti (materiale diretto); costo della manodopera diretta, inclusivo degli oneri accessori; imballaggi; costi per servizi direttamente riferibili al processo di fabbricazione; costi relativi a licenze di produzione;
- costi generali di produzione fissi e variabili; stipendi, salari e relativi oneri riguardanti la manodopera indiretta e costi della direzione tecnica dello stabilimento; ammortamenti di beni materiali e immateriali che contribuiscono alla produzione; manutenzioni e riparazioni; materiali di consumo; altri costi effettivamente sostenuti per la lavorazione di prodotti: gas metano, acqua, manutenzione esterna, servizi di vigilanza, ecc.; altri costi generali comuni.
Con riferimento a quest’ultimi, fatte salve le caratteristiche peculiari del processo produttivo di ogni singola società, i parametri di ripartizione utilizzabili ai fini dell’attribuzione dei costi generali comuni sono, a titolo esemplificativo ma non esaustivo:
- le ore dirette di mano d’opera;
- il costo della mano d’opera diretta;
- le ore macchina;
- il costo primo (cioè il materiale diretto e la mano d’opera diretta).
In alcuni casi può essere appropriato utilizzare percentuali di assorbimento per reparto o gruppi di reparti.
Il valore di realizzazione desumibile dall’andamento del mercato delle materie prime e sussidiarie, delle merci, dei prodotti finiti, semilavorati e prodotti in corso di lavorazione è pari alla stima del prezzo di vendita delle merci e dei prodotti finiti nel corso della normale gestione, avuto riguardo alle informazioni desumibili dal mercato, al netto dei presunti costi di completamento e dei costi diretti di vendita (quali, ad esempio, provvigioni, trasporto, imballaggio). Ai fini della determinazione del valore di realizzazione desumibile dall’andamento del mercato, occorrerà tenere conto, tra l’altro, del tasso di obsolescenza e dei tempi di rigiro del magazzino.
Ai fini dell’esatta valutazione delle rimanenze quale voce di bilancio, la scelta del valore deve ricadere ai sensi dell’articolo 2426 c.c., sul valore di realizzo desumibile dall’andamento se risulta minore rispetto al costo di acquisto o produzione.
Un esempio di applicazione del principio del “minor valore tra costo e mercato”
Metodi di Valutazione delle Rimanenze
Nella determinazione del reddito d’impresa, per la valorizzazione contabile del magazzino, il contribuente può applicare uno qualsiasi dei metodi previsti, subordinatamente alla condizione che il valore così ottenuto non sia inferiore a quello minimo determinato a norma dell’art. 92 del TUIR.
Per ottenere tale valore occorre innanzitutto raggruppare i beni in categorie omogenee per natura e per valore.
L’omogeneità “per natura” implica che i beni vadano catalogati in relazione alle loro proprietà e caratteristiche merceologiche, ossia al tipo di mercato cui sono destinati o al tipo di bisogno che tendono a soddisfare, mentre il riferimento al valore deve essere inteso come riferimento a beni di identico contenuto economico, che determina anche un identico valore monetario al momento dell’aggregazione, valore da stabilirsi sulla base della definizione di valore normale ex art. 9 co. 3 del TUIR (Cass. 4.7.2013 n. 17983 e 24.11.2017 n. 28061).
Ad ogni gruppo omogeneo come sopra determinato, occorre attribuire un valore che non risulti inferiore a quello minimo rappresentato dal c.d. “LIFO a scatti annuali“.
In alternativa, ai fini fiscali, assume rilievo uno dei seguenti criteri, se il medesimo è adottato ai fini della predisposizione del bilancio d’esercizio:
- costo medio ponderato;
- FIFO;
- varianti del LIFO a scatti annuali.
Se, ai fini contabili, le imprese non adottano uno dei suddetti criteri, ai fini fiscali il valore delle rimanenze non potrà risultare inferiore a quello ottenuto tramite il LIFO a scatti annuali.
Lo stesso criterio è applicabile alle imprese minori, le quali non sono riconducibili nell’ambito soggettivo di applicazione dell’art. 92 co. 4 del TUIR, atteso che questo fa espresso riferimento alle imprese che “valutano in bilancio”. Pertanto, nell’ipotesi in cui l’adozione di un metodo diverso da quelli fiscalmente riconosciuti porti al conseguimento di un valore inferiore a quello ottenibile con il LIFO a scatti annuali, occorrerà apportare un’apposita variazione in aumento in sede di dichiarazione dei redditi.
Il rispetto del principio del valore minimo implica che l’impresa sia tenuta all’attivazione di un apposito prospetto recante la valutazione secondo il metodo LIFO a scatti, per consentire agli organi dell’Amministrazione finanziaria di verificare l’esistenza della condizione cui la scelta stessa è subordinata.
Se in un esercizio il valore unitario medio dei beni, determinato come sopra riportato, è superiore al valore normale medio di essi nell’ultimo mese dell’esercizio, il suddetto valore minimo viene determinato moltiplicando la quantità dei beni alla fine dell’esercizio per il valore normale, determinato ai sensi dell’art. 9 del TUIR. Per le valute estere, si assume come valore normale il valore secondo il cambio alla data di chiusura dell’esercizio.
Beni infungibili
Per i beni infungibili, la valutazione delle rimanenze avviene a costi specifici.
Secondo la Cassazione (sentenza 21.4.2023 n. 10773), l’Agenzia delle Entrate (ris. 12.11.2013 n. 78 e circ. 14.5.2014 n. 10, § 6.2) e Assonime (documento 13.5.2011 n. 1), le svalutazioni delle rimanenze valutate in base a tale criterio sono indeducibili, in quanto l’art. 92 co. 5 del TUIR, nel prevedere la rilevanza fiscale del minor valore di mercato, richiama i commi relativi alle rimanenze costituite da beni fungibili (commi 2, 3, 4), ma non quello relativo ai beni valutati a costi specifici (comma 1); per i beni infungibili, valutati in bilancio al costo specifico, rimarrebbero quindi validi i criteri generali di determinazione del costo, in base ai quali non rilevano le svalutazioni e le rivalutazioni.
Ad avviso della norma di comportamento AIDC 28.6.2007 n. 168, invece, la valutazione operata ai fini civilistici troverebbe pieno riconoscimento anche ai fini fiscali, sulla base del principio di derivazione del reddito imponibile dal risultato di bilancio.
Prodotti e servizi in corso di lavorazione ed esecuzione a fine esercizio – Imprese operanti nell’edilizie
I beni in corso di produzione e i servizi in corso di esecuzione a fine esercizio sono valutati in base ai costi sostenuti.
Tuttavia, se si tratta di opere, forniture o servizi pattuiti con oggetto unitario e con durata ultrannuale (c.d. “commesse pluriennali“), la valutazione avviene a norma dell’art. 93 del TUIR.
Commercianti al minuto
Gli esercenti attività di commercio al minuto possono valutare le rimanenze con il c.d. “metodo del prezzo al dettaglio” (art. 92 co. 8 del TUIR).
Il metodo del prezzo al dettaglio approssima il costo effettivo delle rimanenze quando si valutano rimanenze di grandi quantità di beni soggetti a rapido rigiro con margini di importo simile e per le quali è particolarmente difficile l’adozione di altri metodi di calcolo del costo. Il costo delle rimanenze viene determinato detraendo dal valore di vendita delle rimanenze una adeguata percentuale di margine lordo (OIC 13, § 48).
Imprese operanti nel settore petrolifero
L’art. 92-bis del TUIR prevede particolari criteri di valutazione delle rimanenze per le imprese operanti nel settore petrolifero.
La disposizione è applicabile anche ai soggetti che redigono il bilancio in base ai principi contabili internazionali, ivi inclusi quelli che, all’atto del passaggio agli IAS/IFRS, si siano avvalsi, relativamente ai beni fungibili, della possibilità di continuare a valutare le rimanenze con il criterio LIFO, ancorché solo ai fini fiscali ( co. 4 del DLgs. 38/2005).
Rientrano nell’ambito applicativo della disposizione le società in possesso dei seguenti requisiti:
- il volume di ricavi deve superare le soglie previste per l’applicazione degli ISA (5.164.569,00 euro);
- devono svolgere le attività di ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi, raffinazione di petrolio, produzione o commercializzazione di benzine, petroli, gasoli per usi vari, oli lubrificanti e residuati, gas di petrolio liquefatto e gas naturale.
Per i citati soggetti, la valutazione delle rimanenze finali è effettuata secondo il metodo della media ponderata oppure del FIFO.
Fiscalmente, tali criteri sono applicati anche se non adottati in bilancio.
Non è più invece consentita la valutazione secondo la metodologia del LIFO, a scatti o continuo.
Imprese operanti nel settore editoriale-librario
Per il settore editoriale, le rimanenze di libri possono essere valutate, a partire dal periodo d’imposta successivo a quello della loro pubblicazione, in misura ridotta rispetto al costo, sulla base di percentuali del costo via via decrescenti (indicate dalla C.M. 11.8.1977 n. 9), distinte a seconda della tipologia della pubblicazione (scolastica, scientifica o varia).
Continuità dei valori delle rimanenze
Le rimanenze finali di un esercizio, nell’ammontare dichiarato dal contribuente, costituiscono le esistenze iniziali dell’esercizio successivo (art. 92 co. 7 del TUIR).
La disposizione va letta congiuntamente all’art. 110 co. 8 del TUIR, in base al quale, se in un esercizio l’ufficio rettifica in aumento una valutazione compiuta dal contribuente, il nuovo valore deve essere riconosciuto anche negli esercizi successivi. L’ufficio tiene conto direttamente delle rettifiche operate e deve procedere a rettificare le valutazioni relative anche agli esercizi successivi.
Imprese minori
In capo alle imprese in contabilità semplificata, non assumono rilevanza le rimanenze finali e iniziali di cui agli artt. 92, 93 e 94 del TUIR.
Infatti, in applicazione del regime di imputazione temporale improntato alla cassa, le spese per le merci acquistate diventano deducibili nel periodo di sostenimento del costo.
Per il primo anno di adozione del regime di contabilità semplificata, a seguito di transito dal regime ordinario, il reddito d’impresa determinato per cassa è ridotto dell’importo delle rimanenze finali che hanno concorso a formare il reddito dell’esercizio precedente secondo il principio di competenza (art. 1 co. 18 della L. 232/2016).
Così, ad esempio, l’impresa Beta che evidenziava, al 31.12.2023, rimanenze finali per 50.000,00 euro e, dal 2024, ha adottato il regime di contabilità semplificata, deve portare tale importo a riduzione del reddito d’impresa determinato per cassa nel periodo d’imposta 2023 (mod. REDDITI 2024).
(*) Fonte Eutekene, Fisco e Tasse.