Via libera definitivo alla responsabilità limitata per i sindaci

Fissato un tetto alla responsabilità civile, ma resta il nodo retroattività.(*)
Ai sensi del nuovo art. 2407 c.c., “i sindaci devono adempiere i loro doveri con la professionalità e la diligenza richieste dalla natura dell’incarico; sono responsabili della verità delle loro attestazioni e devono conservare il segreto sui fatti e sui documenti di cui hanno conoscenza per ragione del loro ufficio.
Al di fuori delle ipotesi in cui hanno agito con dolo, anche nei casi in cui la revisione legale è esercitata dal collegio sindacale a norma dell’articolo 2409-bis, secondo comma, i sindaci che violano i propri doveri sono responsabili per i danni cagionati alla società che ha conferito l’incarico, ai suoi soci, ai creditori e ai terzi nei limiti di un multiplo del compenso annuo percepito, secondo i seguenti scaglioni:
- per i compensi fino a 10.000 euro, quindici volte il compenso;
- per i compensi da 10.000 a 50.000 euro, dodici volte il compenso;
- per i compensi maggiori di 50.000 euro, dieci volte il compenso (…)”.
Un primo aspetto delicato attiene alla reale portata del limite del multiplo del compenso annuo percepito. Una ragionevole correlazione con il riferimento al compenso annuo dovrebbe indurre a prendere in considerazione, rispetto ad esso, gli inadempimenti causativi di danni posti in essere nel corso della medesima annualità.
Il limite, poi, potrebbe operare con riguardo a ciascun (singolo) inadempimento, a prescindere dall’azione di responsabilità che dovesse conseguirne (soluzione che appare difficilmente compatibile con la ratio delimitativa perseguita dall’intervento legislativo), al complesso degli inadempimenti relativi a ciascuna ipotesi di responsabilità (con conseguente, potenziale, triplicazione del limite in presenza di condotte ingeneranti responsabilità nei confronti della società, dei creditori sociali e dei terzi) oppure a tutti gli inadempimenti dannosi relativi a quella determinata annualità, a prescindere dalla natura della responsabilità. In quest’ultimo senso si è espressa una parte della dottrina. In pratica, quindi, per ciascun sindaco, il limite quantitativo del multiplo del compenso annuo sarebbe utilizzabile a fronte di tutti gli inadempimenti dell’anno determinanti ogni tipo di azione di responsabilità.
A supporto di tale conclusione sembrerebbe deporre anche la lettera della norma, che configura una responsabilità “per i danni cagionati alla società che ha conferito l’incarico, ai suoi soci, ai creditori e ai terzi” (per tutti i danni, quindi) “nei limiti di un multiplo del compenso annuo percepito” (nei limiti, quindi, di un unico multiplo del compenso).
Si tratta di una soluzione interpretativa che appare certamente condivisibile nel caso, frequente, di responsabilità per illecita prosecuzione dell’attività sociale nonostante il verificarsi della causa di scioglimento della società della perdita del capitale sociale (art. 2484 comma 1 n. 4 c.c.).
Qualche perplessità, invece, potrebbe sorgere qualora i danni risultassero la chiara conseguenza di differenti condotte perpetrate dagli amministratori (e colposamente non rilevate dai sindaci) nel corso del medesimo anno e impattanti su soggetti diversi. Si pensi, ad esempio, al danno cagionato alla società per avere intrapreso iniziative particolarmente rischiose senza avere adottato tutte le cautele necessarie in relazione al caso concreto, in violazione del principio della business judgment rule, e alla responsabilità nei confronti di terzi indotti ad investire in azioni della società sulla base di una rappresentazione non veritiera della società. Una parte della dottrina, infatti, sembra proporre una delimitazione sì annuale ma in rapporto a ciascuno tipo di responsabilità.
L’assenza di esplicite indicazioni, infine, depone per la irretroattiva della nuova disciplina. Secondo l’art. 11 delle “disposizioni sulla legge in generale”, infatti, “la legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo”, ed una espressa deroga a tali prescrizioni esiste solo in materia penale, o sostanzialmente penale, riconoscendosi il c.d. favor rei, di cui all’art. 2 c.p.
Interessanti argomentazioni a sostegno della retroattività, peraltro, potrebbero trarsi da quanto stabilito dalla Cassazione in relazione alla operatività del terzo comma dell’art. 2486 c.c., relativo alla determinazione del danno in caso di illecita prosecuzione dell’attività sociale nonostante il verificarsi di una causa di scioglimento. La Suprema Corte, infatti, nell’ordinanza n. 5252/2024 (ripresa dall’ordinanza n. 8069/2024), ha stabilito che tale disciplina si applica anche ai giudizi in corso al momento della sua entrata in vigore perché rivolta solo a stabilire un criterio valutativo del danno rispetto a fattispecie integrate dall’accertata responsabilità degli amministratori per atti gestori non conservativi dopo il verificarsi di una causa di scioglimento della società.
(*) Fonte Eutekne